Giovanni
DUNI
DAL PROCEDIMENTO SEQUENZIALE AL PROCEDIMENTO "A STELLA"
Introduzione
al convegno "L'informatica nelle pubbliche amministrazioni: un problema
di globalità", Cagliari, 22-23 ottobre 2004
Anzitutto un chiarimento sul logo del convegno: vuole evidenziare che
al procedimento sequenziale si sostituisce un diverso schema operativo,
che abbiamo chiamato a stella. Il disegno è semplificato,
perché la novità del flusso a stella non riguarda solo i
rapporti tra amministrazioni, ma anche le attività interne a
ciascuna amministrazione.
Non si tratta di un progetto particolare, ma della
mera constatazione che – non essendo più il procedimento
condizionato dalla disponibilità del fascicolo cartaceo –
si potrà lavorare in contemporanea. Condizione perché
ciò si verifichi è che il fascicolo informatico della
pratica amministrativa sia disponibile per tutti coloro che devono
intervenire. Per tale motivo abbiamo messo nello schema un’area
condivisa: si tratta dell’area nella quale risiede il fascicolo
virtuale, al quale devono potere accedere tutti gli operatori pubblici
coinvolti.
Quanto ciò abbrevi i tempi rispetto al mondo
delle carte è facilmente intuibile: per due fattori
concomitanti: la contemporaneità del lavoro e l’assenza
dei tempi di trasferimento delle carte. Senza contare un terzo fattore:
chi opera in un procedimento telematico si sente pressato a fare
presto, poiché il sistema scandisce in modo ineludibile i tempi
della giacenza di ogni pratica presso di lui e ne evidenzia la
produttività o l’improduttività.
Ecco perché chi studia da 26 anni la
dematerializzazione ed il procedimento telematico comincia a sentire
una certa ansia per il decollo concreto della innovazione. E siccome
l’ansia fa male alla salute, confido che questi incontri di oggi
e di domani possano tranquillizzare non solo me, ma tutti coloro che
oramai formano la nutrita schiera degli studiosi degli aspetti
funzionali della informatica e che vedono nel procedimento il nodo da
sciogliere.
Quando nella legge 229 del 2003, all’art. 10,
tra le tante deleghe per l’informatica, leggemmo che uno degli
oggetti della delega era il procedimento amministrativo una nuova
speranza si è affacciata tra gli studiosi del gruppo di ricerca
che abbiamo qui a Cagliari e nelle altre università consorziate
nel dottorato. Abbiamo intravisto come di prossima nascita quel
procedimento telematico che ormai anche gli studenti dei corsi ordinari
nella laurea in scienza dell’amministrazione hanno imparato, con
i relativi vantaggi della velocizzazione, della responsabilità
nelle singole fasi e della trasparenza.
Siamo quindi alla fase della emanazione dei Decreti
legislativi. Prima che il loro testo diventi definitivo ci è
sembrato utile un confronto qui in Sardegna con la partecipazione
principale degli artefici di questi testi, ossia l’Avv. Dello
Stato Enrico De Giovanni, capo dell’ufficio legislativo del
Ministro Stanca, nonché del Prof. Roberto Benzi, consulente
scientifico del Ministro e del Prof. Maurizio Talamo, anch’egli
consulente del dipartimento delle tecnologie. Un incontro con le
autonomie locali: Regione, Provincia e Comune e non
l’Università nella quale iniziò la rivoluzione
della dematerializzazione degli atti giuridici.
Purtroppo sono trascorsi troppi anni dalla nascita
delle idee. Il legislatore non le ha ignorate, ma le ha accolte con il
contagocce: il che non è servito a cambiare la realtà
delle PP.AA.
Quando nel preistorico 1978 lanciammo l’idea della
dematerializzazione dell’attività amministrativa parlammo
subito anche di firma elettronica (espressione del tutto nuova) e di
procedimento amministrativo telematico. Non era infatti possibile dare
valore giuridico alla forma elettronica, se non accompagnandola
da garanzie tecniche che noi giuristi “commissionammo” ai
tecnici informatici con quella espressione volutamente generica. Si
precisava inoltre che scopo di una rivoluzione di questa portata non
era tanto la riduzione degli spazi fisici degli archivi, quanto la
gestione di procedimenti telematici.
Chi ha studiato per tutta la vita la P.A. sa bene
che il cuore pulsante, che fa muovere tutto l’apparato è
il procedimento; intorno al procedimento si muove tutto il resto, ma se
non affrontiamo di petto questo problema, raggiungeremo traguardi assai
modesti: un maquillage di front-office verso il cittadino, utile al
politico in cerca di popolarità; utile perché no, anche
al cittadino, che ne sarà contento, solo a condizione che
nessuno gli dica che l’abbellimento della buccia esteriore della
P.A. lascia intatta la realtà del back office.
Non possiamo dire che le idee del 1978 non siano
state accolte; ma vediamo quando e come. Quindici anni dopo, nel 1993,
nel decreto istitutivo dell’AIPA fu inserito l’art. 3, che
riconosceva la forma elettronica. Lo commentiamo non tanto con i
dottorandi, che queste cose le conoscono benissimo, quanto con gli
studenti del corso ordinario di Informatica amministrativa per
dimostrare come una legge non deve essere fatta. Questo articolo 3,
infatti, introduce la rivoluzione della dematerializzazione non con
frasi chiare, come sarebbe stato necessario per una svolta copernicana,
ma solo per implicito. Inoltre la introduce senza alcuna garanzia, che
pure, fin dal 1978, negli studi era dichiarata essenziale.
Meglio fece la Bassanini 1 (L. 59/97), con
l’articolo 15, che fu esplicita sia sulla dematerializzazione,
sia sulle garanzie di autenticità degli atti, da disciplinare
con regolamento.
Perché ancora non si vede la rivoluzione
telematica della P.A.? È semplice: a distanza di 26 anni dalla
prima idea ed a 7 anni dalla chiara enunciazione della
dematerializzazione del 1997, manca ancora il terzo punto già
ben individuato in quelle lontane ricerche: il procedimento telematico.
L’art. 15 della Bassanini 1 sarebbe
utilizzabile in una P.A. se ci fosse un caso di atto amministrativo la
cui emanazione fosse affidata ad un solo funzionario, senza la
collaborazione di nessun altro ufficio. Qualche atto di siffatta
semplicità forse esiste, ma non sarà certo un atto
importante. Gli atti importanti vedono coinvolte più
amministrazioni, ognuna preposta alla tutela di differenti interessi
pubblici (sicurezza, salute, paesaggio, archeologia, idrogeologia,
ecc…) e, all’interno di queste, più uffici. Il
sindaco di Roma contò che, per alcune opere del giubileo 2000,
ci furono 65 passaggi procedimentali. L’assessore ai LL.PP.,
sempre a Roma, per una conferenza di servizi sulla metropolitana
affittò una sala cinematografica, poiché dovevano
intervenire 125 persone.
Oggi siamo giunti forse alla conclusione della
vicenda, se i Decreti legislativi che si stanno per approvare
partiranno dal cuore della macchina amministrativa con la
consapevolezza che solamente intorno al back office del procedimento
telematico si potrà costruire un front office di contenuti ben
più alti rispetto a quanto abbiamo visto in questi anni.
Occorre precisare che il front office è
spesso chiamato servizio al cittadino, anche se noi sappiamo che molte
volte in realtà non si tratta di un vero e proprio servizio, ma
si tratta di una utile interfaccia di collegamento tra cittadino e
pubblica funzione. Occorre anche fare attenzione alla precisione del
linguaggio, perché sotto le differenti parole ci sono
realtà molto diverse: pubblica funzione e pubblico servizio sono
cose molto diverse.
Perché siamo così indietro, malgrado la tecnologia abbia fatto passi da gigante?
La colpa è un po’ di tutti e,
nell’elencazione, voglio mettere anzitutto la categoria alla
quale appartengo: i professori di diritto amministrativo.
Oggi, contando anche i ricercatori, ci sono ben 389
docenti di diritto amministrativo. Quanti di essi hanno dato una mano
al progresso di quello che viene anche chiamato Diritto amministrativo
elettronico? Oggi forse vi è un nuovo interesse, soprattutto tra
i più giovani, ma in passato più remoto eravamo forse due
soli ad occuparci dell’introduzione dell’informatica nelle
amministrazioni.
Ma altrettanta responsabilità spetta ai
colleghi delle discipline informatiche, che per lunghi anni hanno
pensato che il problema della informatizzazione della P.A. fosse solo
tecnologico: hanno lavorato da soli nel progettare ed anche nel
suggerire al Governo le soluzioni normative. Dobbiamo per altro
riconoscere che non era facile svegliare dal sonno i colleghi
più esperti in amministrazione pubblica, per uno studio della
innovazione che coordinasse tecnologia, diritto e scienza
dell’amministrazione.
Terza categoria di responsabili è stata
quella dei vertici delle pubbliche amministrazioni. La quarta ed
ultima: le imprese di informatica.
Mi spiego. Oggi viviamo in un
sistema di informatica parallela: da un lato la burocrazia cartacea la
fa da padrona; dall’altro l’ausilio non rivoluzionario
della informatica soddisfa più le ditte fornitrici che la P.A.
ed i cittadini. Per molti anni abbiamo avuto l’impressione che il
mondo della tecnologia considerasse il diritto come qualcosa di sacro
ed immutabile. Per molti anni le stesse PP. AA.. hanno spesso guardato
con diffidenza l’innovazione ed accettavano l’informatica a
condizione che non sconvolgesse i metodi di lavoro consolidati da
secoli. Per molti anni le imprese di informatica erano contente di
stipulare contratti vantaggiosi, e da nessuno erano stimolate a portare
avanti soluzioni che fossero davvero innovative e non puramente
fiancheggiatrici di un mondo sorpassato; né tanto meno si
azzardavano a proporle: come poteva un informatico di una
società privata, da solo, azzardarsi a proporre modifiche
così radicali come la dematerializzazione degli atti?
Tutto questo è finito nel 1997 con la
Bassanini 1? (E, ovviamente, con le varie norme successive?) La mia
risposta è che questo passato è finito come
mentalità, ma rischia di rinascere se non si mostra in fretta
che l’innovazione è possibile e non è utopia o
fantamministrazione. Se temporeggiamo ancora rischiamo il pessimismo e
la diffidenza, e, soprattutto, la perdita di entusiasmo di quelle
schiere di innovatori che nel frattempo si sono formate: soprattutto
c’e il rischio che si rinunzi a combattere per la soluzione
globale e si continui, come si è fatto per tutti questi anni, a
perseguire obbiettivi e progetti limitati.
Il meccanismo della innovazione si è
inceppato perché i pezzi della macchina non ci sono tutti.
Scusate se a questo punto subentra la mia deformazione professionale di
professore; ma quali elementi aveva indicato la ricerca scientifica
come necessari oltre 26 anni fa? 1) accettazione legislativa della
validità della forma elettronica (la abbiamo avuta fin dal
1993); 2) garanzie di autenticità degli atti (le abbiamo avute
nel 1997); 3) disciplina del procedimento telematico: questa terza
necessità non è stata soddisfatta. Nel 2004 siamo forse
giunti al traguardo, poiché – come ho detto
all’inizio – nella L. 229 del 2003 leggiamo che la delega
al Governo ha come oggetto anche il procedimento amministrativo ed
abbiamo due disegni di legge che disciplinano la materia.
Il mio giudizio sui decreti legislativi in corso
è positivo per lo sforzo fatto nel precisare e nel risolvere
problemi al tappeto seri e complessi.
Tuttavia ritengo che in questa materia si debba
agire con regolamenti e non con atti aventi forza di legge. I decreti
legislativi saranno quindi una succinta enunciazione dei principi base
e l’intero codice della amministrazioni digitali sarà un
regolamento. Non è una proposta demolitrice, perché tutto
il lavoro fatto resta salvo, ma scende a livello regolamentare:
sarà approvato e pubblicato pochi giorni dopo il decreto
legislativo nel quale saranno condensati solo i principi fondamentali:
quelli per i quali si fa affidamento sulla durata nel tempo.
Poiché l’evoluzione è continua
è preferibile lasciare ampio spazio al regolamento, che è
molto più facile aggiornare.
Quanto alla regolamentazione del procedimento devo
dire che essa è troppo generica: nell’art. 64 della bozza
del codice della amministrazioni digitali c’è un comma che
invita le PP.AA. a cooperare per integrare i procedimenti;
nell’art. 69 c’è un invito alle PP.AA. ad adottare
programmi informatici che assicurino l’interoperabilità.
È certamente troppo poco perché la svolta si realizzi:
occorre quindi aggiungere un ampio rinvio al regolamento sul
procedimento telematico. Anche nel decreto sulla connettività e
cooperazione andrebbe precisato chiaramente che obbiettivo della
cooperazione è l’attuazione del procedimento telematico.
Comunque: legge o regolamento che sia, dico con
fermezza che è inutile costruire un’automobile con una
bellissima ed aerodinamica carrozzeria se poi, alzando il cofano
troviamo dentro – invece di un moderno motore – il glorioso
motore della Fiat Balilla 4 marce.
Mi fermo qui, perché da questo punto in poi
il discorso si dovrebbe trasformare in precisazioni molto puntuali sul
procedimento telematico, che tengano anche conto delle autonomie; dico
solo che, per raggiungere i risultati occorre che operino in stretta
collaborazione le tre categorie che da tempo indichiamo come necessari
artefici della innovazione: gli informatici; gli amministratori; i
giuristi.